La Baita Serena era un posto pieno di gioia, dove le persone si sentivano protette, quasi come a casa loro. I più autosufficienti avevano i loro rituali quotidiani, c’era persino chi usciva durante il giorno per andare a comprare il giornale.
Gli ospiti scendevano dal reparto per prendersi un caffè alla macchinetta, per ascoltare la lettura del giornale, per fare la ginnastica di gruppo, per giocare a carte, per creare lavoretti a mano e chi poteva camminare si rendeva disponibile per spingere la carrozzina del compagno meno fortunato. I compleanni poi erano vere e proprie feste. I familiari che si organizzavano per dolci, candeline, regali, festoni. Tutti insieme, la loro nuova famiglia, si riunivano per fare gli auguri al festeggiato. Foto, video, musica, balli. E poi a Natale, il giorno in cui tutti vorrebbero essere a casa per festeggiare con la propria famiglia, venivano organizzati pranzi per i familiari degli ospiti in modo da avvicinarli il più possibile a quella sensazione.
Mi ricordo anche delle feste organizzate con i bambini della scuola dell'infanzia, la gioia sprizzava negli occhi di bimbi e nonni. C'erano poi le gite, le passeggiate in paese, i pomeriggi in compagnia degli affezionati volontari, gli incontri con i ragazzi del catechismo, i giochi di gruppo...
Siamo riusciti a tener testa al Covid-19 durante la prima ondata.
Ma poi, circa venti giorni fa, per una serie di sfortunati eventi che non riusciamo a spiegarci il Covid-19 è riuscito ad entrare nella struttura e l'ingranaggio perfetto di quel piccolo mondo fatato si è bloccato. Tutti i nonni nelle loro stanze, tutti separati e senza possibilità di contatti. Niente più condivisione, niente più sorrisi.
I familiari impauriti perché giustamente preoccupati, il telefono che squilla all’impazzata, cerchiamo di prendere tutte le telefonate ma anche quello è difficile perché anche il personale si è letteralmente dimezzato.
Le tute e le mascherine che non ti fanno respirare, ma solo sudare. Fare un passo con la tuta è come fare la maratona. Non puoi bere, non puoi mangiare, non puoi andare in bagno. Mentre cammini senti solo il rumore che fa la tuta quando ti muovi. Senti la tua voce rimbombare e la comunicazione con gli altri diventa davvero difficile.
Vi immaginate però cosa possano aver provato i nostri poveri anziani a vivere quella situazione? Da un giorno all’altro catapultati in isolamento e tutte le facce che prima riconoscevano, adesso sono quelle di alieni vestiti di bianco. La comunicazione di solito è tempo prezioso, spendere alcuni minuti in più per ascoltare tutti era il fulcro della nostra attività, ma ora la priorità è la salute degli ospiti e degli operatori.
Gli operatori negativi si possono contare su una sola mano. Ti capita di essere in turno e dover dire al tuo collega che deve abbandonare il posto di lavoro perchè è arrivato il referto del tampone positivo. E allora ti rimbocchi le maniche e cerchi di fare del tuo meglio per non tralasciare nulla di tutto quanto hanno bisogno gli ospiti perchè non esiste più l'operatore che possa sostituire l'ultimo che si è positivizzato. Cerchiamo tuttavia, per quanto possibile, di tranquillizzare i nostri nonni, anche chi in fondo non dà segni di rendersene conto... proprio loro ci danno la forza per capire che tornare alla normalità è possibile.
I nostri anziani vivono queste sensazioni, stanno vivendo la pandemia sulla loro pelle. Ci sopportano quando non abbiamo il tempo di ascoltarli, ma ci ringraziano anche per quello che facciamo perchè capiscono che la priorità per noi è la loro salute e a volte sanno anche sdrammatizzare. Una delle prime volte che mi hanno vista bardata mi hanno chiesto se era già arrivato carnevale.
Il Covid-19 è una dura prova e ce la stiamo mettendo tutta per limitare i danni. Questo è lo strano mondo delle RSA, dove i veri eroi della storia sono loro, i nonni di tutti noi. Tenete duro cari nonni e dateci la forza di starvi sempre vicini.